Se la percezione dei brand (giornali compresi) si sposta su Facebook
Alla domanda: “Che cosa è un giornale?”, oggi la maggior parte dei lettori risponde: “Quello che pubblica sulla sua pagina Facebook”
Alla fine dello scorso anno c’è stato il sorpasso. Negli ultimi tre mesi, infatti, i social media (i primi 8) hanno portato più traffico ai siti di infotainment – tra cui anche quelli di news o simili come BuzzFeed – dei motori di ricerca.
Per gli utenti cambia poco. Per chi finanzia, produce e gestisce questo tipo di siti rischia di essere un cambio epocale.
Se consideriamo Facebook il leader dei social media (e lo è), sia in termini di traffico che di fatturato, non possiamo non notare che ormai per gli editori e i giornali non è più solo una piattaforma di contatto e distribuzione verso i lettori. Ormai è diventata una piattaforma di pubblicazione.
Faccio un esempio, per essere più chiaro.
Poniamo che il sito di Wired arrivi per primo su una notizia importante, pubblicandola prima degli altri siti di informazione. Questo porta dei sicuri vantaggi nella rilevanza del brand (“Oh, quelli di Wired hanno fatto uno scoop”) e nel numero clic che la notizia genera (posizione nei motori di ricerca, socializzazioni dei lettori su Facebook e Twtitter e così via). Ma non basta. Se quello stesso articolo lo staff di Wired non lo condivide immediatamente sulla propria pagina Facebook, non ha fatto fino in fondo il suo lavoro.
Perché?
Perché la percezione dei brand (giornali e siti di infotainment compresi) si sta spostando dal sito del brand stesso alla sua pagina Facebook. Tornando all’esempio di poco fa, se quella notizia viene socializzata dopo mezza giornata, Wired corre il rischio di ricevere critiche sulla scarsa reattività della redazione a coprire le notizie anche se – paradosso – è stato proprio a Wired a diffonderla per prima in rete.
Ma non è tutto.
Il sorpasso dei social media nei confronti dei motori di ricerca come fonte di traffico sta generando anche altri effetti conseguenti, molto interessanti da osservare. Io che, per esempio, sono di Roma sono da sempre un lettore anche de Il Messaggero. Che, come noto, è un giornale che parla soprattutto di politica e vicende romane (cronaca, sport, costume, economia e così via). Ma se si va sulla sua pagina Facebook, si rischia di rimanere disorientati se ci si aspetta di trovare gli stessi contenuti, ovviamente presentati in maniera diversa. Ci sono infatti molte news riguardanti piccoli e curiosi fatti di cronaca locale estera che sul quotidiano non troverebbero mai spazio, non solo per una questione di mancanza di pagine ma anche perché non c’entrerebbero nulla con il resto del giornale.
Quello appena descritto per Il Messaggero avviene in molte altre realtà editoriali. E se da una parte è vero che, come Luca De Biase sostiene da anni, “Il giornale non è la sua carta” (ma tutte le piattaforme attraverso le quali si esprime), dall’altra è altrettanto vero che la percezione che gli utenti oggi hanno dei siti di news viene in gran parte filtrata da quello che avviene sui profili social delle testate o brand.
E alla domanda: “Che cosa è un giornale?”, oggi probabilmente la risposta della maggior parte dei lettori sarebbe: “Quello che pubblica sulla sua pagina Facebook”.
Fonte: wired.it
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